“Credo nel barone Pierre e nella sua utopia, nella poesia ritmica di Paavo, nella divina Fanny. Come Sir Roger, credo che non esiste una barriera invalicabile; credo in Abebe tra le ombre della sera, nel cuore e nell'anima di Tommie Jet, nell'allegria ambidestra di Aki, nel lampo di Miruts e Kenenisa; credo nella santità di Pietro Paolo, nel silenzio di Gelindo, credo nel vento e nei suoi figli, si chiamino Oskar, Carl o Wilma, purché sia un'unica luce...quella della fiamma olimpica.” Mario Sibilla

domenica 11 dicembre 2011

La vera storia dei 4 moschettieri....by Mariano


L’apparizione in rete di “appunti” non autorizzati e di “commenti” alla Minzolini impone allo scrivente cronista (sempre presente sui luoghi dei misfatti) di narrare a quei pochi distratti lettori di questo blog le reali vicende che videro protagonisti, durante il regno di Mario XIII, i quattro moschettieri: Nino D'Artagnan, Nino Athos, Mariano Porthos e Piero Aramis.
Tutto iniziò un lunedì di maggio del 2011, all’indomani dell’ennesima mezza ca panna (ops, della tanta attesa mezza maratona di Terrasini).
Stanchi delle solite ripetute, dei medi e dei piramidali, degli indici e dei prismali, i su menzionati moschettieri ebbero un’idea malsana: tentare la scalata di Dinnamare.
Il tutto ovviamente all’insaputa di re Mario XIII, meglio conosciuto come “Mario il profeta”.
Ma dopo pochi e furtivi allenamenti in zona Colli, re Mario, da vecchia volpe della pista, si accorse che quelle assenze nelle sedute tecniche del mercoledì non erano dovute ad improbabili mal di pancia, ad inverosimili impegni di lavoro o a fantascientifici appuntamenti galanti, bensì a quella gara maledetta, foriera d’infortuni e cali di forma, madre di tutte le cattive prestazioni per i futuri dieci anni.
E quel che è peggio, Mario il Profeta si accorse che i quattro venivano allenati (o meglio, sfamati a pane e sasizza) dall’infido Cardinale Massimo Richelieu.
Il re non perse tempo. Lanciò immediatamente l’anatema. L’ira funesta fu tale che per quaranta giorni e quaranta notti piovve ininterrottamente sul piccolo regno del Cappuccini.
All’alba del quarantunesimo giorno (era il 19 giugno) Re Mario perdonò i quattro malcapitati, la pioggia improvvisamente cessò, le acque si ritirarono e i quattro moschettieri iniziarono la scalata verso Dinnamare sotto un sole cocente ed una temperatura africana (30° all’ombra).
Il risultato fu assai deludente, anzi fallimentare: tutti e quattro sopra le due ore!
Fu allora che re Mario XIII, come la Sibilla, si pronunciò: “non più gare nefaste, non più male figure, non più presi per il culo dalle altre squadre, d’ora innanzi vi allenerò io! Vi farò fare la maratona in tre ore e mezza, anzi voglio essere più preciso: D’Artagnan 3.29.51, Athos 3.31.11, Porthos 3.31.11 e Aramis 3.31.12”.
La scelta ricadde sulla maratona di Firenze del 27 Novembre; non tanto perché tecnicamente adatta ai moschettieri ma essenzialmente perché si sarebbe svolta lo stesso giorno della famosa e celebrata Mezza del Mediterraneo di Reggio Calabria, gara alla quale avrebbero partecipato i favoriti del re (Dario I e Dario II) con risultati di tale livello da offuscare, anzi occultare, un’eventuale magra figura in terra toscana.
Da quel giorno, la vita dei quattro moschettieri cambiò radicalmente.
Niente alcol, niente droghe, niente sesso e, soprattutto, niente pane e sasizza: solo chilometri su chilometri e, come premio, al termine di ogni seduta un paio di scarpe vecchie per sostituire quelle prematuramente usurate.
Dopo migliaia di chilometri, percorsi senza alcuna assistenza (re Mario, pur trovandosi in zona, preferiva andare al bar con le donnine del suo reame), i quattro moschettieri, tra l’indifferenza generale, portarono a termine l’ultima faticosa seduta di allenamento: il lunghissimo da 72 km.
Al termine della seduta, Re Mario si materializzò e consegnò a ciascuno dei discepoli una barretta di maltococaina dicendo: “Prendetela e mangiatevela tutta al primo chilometro, questa è roba buona acquistata con sacrificio per voi”. Poi, allo stesso modo prese un nastrino colorato, gli fece un bel ruppo e disse: “Prendetelo e attaccatelo al pettorale, all’interno ho scritto il vostro tempo, scioglietelo soltanto alla fine della gara. Fate questo in memoria di me”.
Rincuorati e rinfrancati, i quattro “scappati di casa” (così venivano appellati dai rivali della Stileoccupato che giustamente nutrivano seri dubbi sul metodo di re Mario XIII basato sulla quantità e non sulla qualità), partirono con un aereo privato (gentilmente offerto dalla Malatino Gioielli) per Firenze dove giunsero al tramonto del 25 novembre (in tempo per la prima lauta cena).
Nel capoluogo toscano, i quattro dimenticarono immediatamente la loro missione e, nonostante le mogli al seguito, si diedero ai bagordi e ai baccanali a base di fiorentina (la bistecca) e Brunello di Montalcino.
Il mattino del 27 novembre il sole era già alto ma i quattro moschettieri dormivano ancora, satolli per l’ultima abbondante cena.
Porthos era nel meglio del sonno, sognava di partecipare da protagonista ad un’orgia scandinava al ritmo di tamburi africani. In realtà quel rumore incessante non era il battito di un tamburo ma quello di Re Mario XIII che bussava ripetutamente alla porta della stanza dell’albergo.
Era accaduto, che causa la derattizzazione e disinfestazione della città, la Mezza di Reggio Calabria era stata annullata e “Mario il profeta”, non trovando di meglio da fare in quella santa domenica di novembre (tutte le donnine del reame avevano le loro … cose), si era catapultato a Firenze con il primo vagone merci notturno in partenza da Villa San Giovanni con addosso (ben celato in un buco ricavato all’interno del suo corpo) un composto magico a base di anfetamina.
Immaginatevi cosa provò il povero Porthos quando vide lo sguardo severo del capo; balbettando riuscì a proferire soltanto “ero in bagno .. avevo un po’ di diarrea ….”.
Tuttavia, in appena centoventi secondi, Porthos era già in divisa nera pronto per raggiungere la partenza. Anche gli altri, interrotti sul più bello dal trillo del telefonino, non si persero d’animo ed in soli tre minuti (loro personale sui 1.500 metri) arrivarono all’appuntamento dissimulando una frequenza cardiaca ben oltre la soglia.
Lo sparo seguì di qualche secondo l’immonda consegna.
La maltococaina assunta al primo chilometro non sortì l’effetto sperato. Alle Cascine l’andatura era di sei minuti al Km. Alla mezza il cronometro segnava già due ore, al trentesimo i quattro videro anzitempo il muro del trentaseiesimo chilometro ed al trentaseiesimo chilometro udirono il canto delle Sirene che l’invitavano a fermarsi in cambio del “tempo” nella scalata di Dinnamare del 2012.
Ma quando tutto sembrava perduto e già si pensava in quale società (Lineaform la più accreditata) trasferirsi d’urgenza, ecco che Nino D’Artagnan (che dei quattro aveva il cervello più in alto) si ricordò dello sporco ma provvidenziale miscuglio.
Boccheggiando avvertì i suoi compagni di sventura, tirò fuori la superanfetamina ed assuntala in un sol colpo iniziò con una progressione degna del migliore dei bummati che lo condusse, alla velocità del neutrino, sul traguardo agognato.
Anche gli altri lo seguirono (Nino Athos inghiottì persino la carta stagnola) e in men che non si dica tutti e tre entrarono trionfali a Piazza Santa Croce abbracciati e sorridenti.
Nel rettilineo finale, tra il tripudio della folla festante, Piero Aramis ebbe persino il tempo di fermarsi per essere meglio immortalato dal solito fotografo prezzolato.
Alla fine i tempi erano stati rispettati: Nino D’Artagnan 3.29.51, Nino Athos 3.31.11, Mariano Porthos 3.31.11 e Piero Aramis 3.31.12”. L’unico inconveniente fu quello che sino a sera inoltrata l’effetto della sostanza proibita costrinse Athos, Porthos e Aramis a rimanere avvinghiati.
Ma tutto è bene quel che finisce bene: nessuno si accorse dello squallido stratagemma; re Mario XIII era soddisfatto, l’onore era salvo e al rientro tutti avrebbero osannato il suo grande metodo di allenamento basato sulla sola quantità (più chilometri si fanno, più si acquisisce il ritmo maratona).
Ed infatti, giunti a Messina (questa volta con un elicottero messo a disposizione dalla capogruppo Malatino S.p.A.) le lodi si sprecarono; i quattro iniziarono a buccazziarsi; per sette settimane non si parlò d’altro; Berlino, New York, Boston, Londra, Chicago divennero modeste kermesses alle quali partecipare solo se invitati e profumatamente pagati.
I nostri moschettieri ovviamente continuarono a correre al soldo di Re Mario XIII (da quel giorno detto anche “Mario il chimico”) regalando alla squadra effimeri momenti di gloria (il più delle volte pagati a caro prezzo …..).
A Giugno del 2012, in occasione della scalata di Dinnamare, …. . Ma questa è un’altra storia e oggi ho già scritto abbastanza.

Mariano

6 commenti:

  1. Tanto di cappello...mi sa che devo investire un po' di capitali in questa Malatino S.p.A....dicono si viaggi bene ;)

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  2. I belive in Mariano!
    Forever!
    k

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  3. se non ci fosse Mariano....bisognerebbe inventarlo.
    Grande...ci vediamo senz'altro per la Scalata (senza dirlo a Re Mario e con l'allenamento del Cardinale Richelieu)
    CP

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  4. un grandeeee.... plauso per la tua capacita' narrativa caro mariano "porthos",ma ancor di piu' alla tua grandeeee.... umanita'!!

    LUK

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  5. Grazie.
    Non solo a Dario, a k, a CP e a LUK (a proposito, chi sei?), ma anche a tutti agli altri che hanno avuto la pazienza di leggere "La vera storia dei quattro moschettieri" e che per due minuti avranno anche sorriso.

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  6. Bellissima storia. Bravo per l'ironia, la relazione degli eventi, per la capacità narrativa e per l'intenzione di farlo per far sorridere tutti. Ci sei riuscito. Grazie.

    Non resisterò alla tentazione per la prossima scalata, specialmente dopo aver apprezzato il metodo i allenamento (pane e sasizza) del Cardinale M. Richelieu. E che Re Mario ce la mandi buona.

    AnFo

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